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N. 5 maggio 2009
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Con
Maria nel nuovo millennio![]() di STEFANO DE FIORES, smm E nell’orizzonte della cultura
popolare... La religiosità del popolo è molto concreta,
è come impastata nei problemi dell’esistenza quotidiana. La gente
chiede alla Vergine protezione di fronte alle molteplici e dure minacce
che deve affrontare: salute, sicurezza, soluzione di problemi affettivi,
liberazione dai vizi, disoccupazione... Ci rendiamo conto che la questione di Maria nella cultura popolare si allarga a vista d’occhio perché include le principali zone di sviluppo della cultura popolare dall’America Latina all’Europa, al Meridione d’Italia, fino al Marchesato di Crotone su cui don Raffaele Malena ha operato una lunga ricerca, culminata con una tesi di oltre 700 pagine, difesa al Marianum nel 1981. Ci limitiamo a proporre sulla scia di Clodovis Boff «i tratti più salienti della pietà popolare», con applicazioni alla devozione mariana.
Universo antropologico Oltre ai modi caratteristici della cultura popolare, a noi interessa penetrare nel mondo organico di essa che implica la concezione della vita e i suoi valori fondamentali. Difficile impresa tentata da pochi autori, tra cui si distinguono mons. Giuseppe Agostino, antesignano dell’attenzione ecclesiale verso la pietà popolare, padre Maffeo Pretto, benemerito per gli studi sulla pietà e santità popolare in Calabria, e don Ignazio Schinella sotto il profilo teologico.
Ebbene, essi espongono questo mondo culturale in modo più positivo e religioso il primo, in modo più problematico il secondo. Pretto parte da ciò che chiama «un vero crocevia esistenziale della cultura popolare» ed è rappresentato dall’«esperienza del destino», le cui tracce sono presenti in proverbi e canti dialettali. Al di là delle spiegazioni parziali è emerso continuamente nella cultura popolare il senso della sorte, del destino, della fortuna, entità impersonali che sono ritenute causa degli avvenimenti anche più assurdi. È l’esperienza dell’inevitabile, dell’arbitrario inseriti nell’interno della trama della vita che si sente in balia di forze estranee e superiori; è la presenza di una malvagia assurdità che all’interno del proprio essere ed agire colpisce e sembra dominare lo svolgimento degli avvenimenti. Due vie Da questo sfondo, erede della Móira o Fato di ellenistica memoria, si dipanano due vie: una (piuttosto rara) che sfocia nel fatalismo e nell’ateismo pratico; un’altra (più comune) che perviene al Dio cristiano della provvidenza, creatore e protettore degli esseri umani, pur minacciati dalla precarietà della vita. La dimensione dell’empietà si manifesta nella bestemmia contro Dio, la Madonna e i santi, «con parole offensive, con atteggiamenti vendicativi come il non andare in chiesa, il disprezzare le immagini sacre»; si tratta però di «una variabile derivata e dipendente dalla pietà; essa non ha infatti nel mondo popolare calabrese una sua autonomia, non ha una sua visione del mondo, non ha luoghi e riti propri». «Dio sa» L’esperienza di Dio e la fiducia nella sua provvidenza trovano espressione in numerosi canti calabresi e nelle frasi frequenti: «Ciò che Dio vuole», «Dio sa» e «Bettu Ddeu». È quanto viene espresso da stupende preghiere nelle quali scompare del tutto il senso cupo del fatalismo ed appare la serena fiducia nell’amore di Dio, di Cristo, della Madonna, che sono capaci di trasformare anche il dolore ed aprire la vita ad un ottimismo vittorioso.
Quando Cristo... La provvidenza di Dio si concretizza nella figura di Cristo, «figura centrale del cattolicesimo popolare in Calabria». I misteri della sua vita dal Natale alla Passione e alla Pasqua sono celebrati dal popolo durante tutto l’anno. In particolare «la centralità di Cristo viene espressa in un’altra serie di racconti popolari di quando Cristo camminava per il mondo e si incontrava con la gente comune; è un vero vangelo popolare». Corrado Alvaro L’accettazione del Vangelo implica l’accoglienza dei suoi valori e comportamenti virtuosi. Dobbiamo qui riconoscere la visione lungimirante della calabresità dovuta al suo massimo scrittore contemporaneo, Corrado Alvaro (1895-1956), nei cui romanzi e scritti vari emergono nitidamente, oltre ai rischi e ai disvalori, i valori della cultura mediterranea: il senso dell’onore, della giustizia, della libertà, il senso di accettazione tinta di fatalismo di fronte agli eventi tristi della vita, l’importanza suprema della famiglia per il singolo, l’altissima idea dell’autorità, la protesta contro le ingiustizie, l’amore per la libertà, il sentimento dell’amicizia, l’umanità della donna... Alvaro ipostatizza alcuni di questi valori nei suoi romanzi: la giustizia in Gente in Aspromonte (Antonello), la libertà in L’uomo è forte (Dale), l’amore in Belmoro (Belmoro). In realtà Alvaro dimostra una coscienza vigile, che nei romanzi e negli scritti d’occasione difende ed esalta i valori di giustizia, libertà e responsabilità, amore e solidarietà. Nella persona egli scorge innanzitutto il grande valore della libertà, è convinto che ogni uomo deve assumere il proprio impegno di fronte alla storia. Lo scrittore sa di andare controcorrente e nota che «uno dei caratteri salienti della vita moderna è la perdita del senso di responsabilità». Alvaro d’altronde spezza più volte una lancia a favore della dignità della donna, secondo la prassi primitiva del cristianesimo. Tutt’altro che diavolo, la donna «appare pur sempre il mondo più intimo e caro dell’uomo, la madre, la sorella, la fidanzata, la sposa». Sensibile alla situazione della donna «schiava della necessità», Alvaro annota con intima partecipazione: «È forse il proletariato e bracciantato più indifeso che esista». Lo scrittore scorge nella donna l’energia che conduce l’uomo alla coscienza di sé. In realtà «la donna è il personaggio più importante e più autentico della Calabria». Stefano De Fiores,
smm
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