n. 9 novembre 2013
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Problemi attuali di mariologia Pii esercizi? Sì, grazie! Uno dei frutti maturi del rinnovamento conciliare: essere passati dalla diffidenza verso la pietà popolare a un atteggiamento di riscoperta. A partire dall’umanesimo di Erasmo e dalla riforma di Lutero si è guardato con una certa diffidenza e disprezzo alle forme popolari, giudicate corrotte e lontane dalla parola di Dio. Questo atteggiamento diviene ancora più radicato con l’avvento dell’illuminismo che sottopone la religione popolare al giudizio della ragione. Si addiviene, anche in ambito cattolico, a una posizione tutt’altro che tenera e tollerante verso le espressioni di religiosità popolare. Al contrario la tesi di alcuni pensatori che documenta una posizione spesso repressiva o comunque restrittiva riguardo alle presunte apparizioni e in genere alle altre espressioni tipiche del popolo. Nella prima parte del Novecento i vescovi di vari luoghi, in particolare nel Meridione, addivengono a interventi proibitivi di funzioni extra-liturgiche molto care al popolo. Anzi, a ridosso del Vaticano II, alcuni liturgisti si chiedono se non sia il caso di “eliminare” in nome dell’autosufficienza della liturgia, le vecchie espressioni della pietà popolare ritenute «non necessarie» e «provvisorie» oppure «secondarie, se non inutili, ingombranti e fastidiose». Londra, Victoria Street, 6.4.2012: Good Friday Procession (PAUL JERRAM / DEMOTIX / CORBIS). La fase dell’accettazione. La posizione del Vaticano II è senza dubbio diversa, poiché riafferma la legittimità e l’utilità dei pii esercizi (cf LG 67), anche se non manca di ammonire onde evitare i rischi della «vana credulità » e dello «sterile e passeggero sentimentalismo » (LG 67). Bisogna aspettare l’esortazione apostolica Marialis cultus (= MC), per compiere un ulteriore passo verso una nuova impostazione circa il rinnovamento sia liturgico sia degli esercizi di pietà. Preziosi e innovativi i princìpi stabiliti dalla Marialis cultus per il rinnovamento del culto mariano e in particolare dei pii esercizi, soprattutto l’orientamento antropologico e culturale bene illustrato e convincente (MC 25-37). Purtroppo l’applicazione al rosario risulta almeno parzialmente evitata, creando l’impressione di un’incoerenza tra principi eccellenti e realizzazione non molto riuscita. Un decisivo input era avvenuto nell’arco degli anni Settanta con gli studi condotti da autori di ostentata cultura marxista che hanno attirato l’attenzione sulla realtà della religione popolare come appartenente alla cultura del popolo, da rispettare evitando qualsiasi intervento repressivo atto a mortificarne le espressioni. Purtroppo la presentazione della religiosità popolare come «religione delle classi subalterne » in opposizione a quella delle classi dominanti, ha avuto come effetto il rigetto in blocco di quegli studi minati dall’ideologia di sinistra. Il vero rilancio ecclesiale della pietà popolare avviene attraverso l’esortazione apostolica postsinodale Evangelii nuntiandi (= EN, 1975), dove Paolo VI esorta a «essere sensibili» alla «realtà così ricca e vulnerabile» che preferisce chiamare «pietà popolare», a «saper cogliere le sue dimensioni interiori e i suoi valori innegabili» (EN 48). Giovanni Paolo II s’immette decisamente fin dall’inizio del suo pontificato in questa prospettiva culturale per definire e interpretare la pietà popolare. Nel suo primo viaggio pastorale, quello in Messico nel gennaio 1979, mette in chiaro nel Santuario di Zapopan gli atteggiamenti da assumere nei riguardi di tale realtà: «Questa pietà popolare non è necessariamente un sentimento vago, carente di solida base dottrinale, come una forma inferiore di manifestazione religiosa. Quante volte è, al contrario, la vera espressione dell’animo di un popolo in quanto toccato dalla grazia e forgiato dall’incontro felice tra l’opera di evangelizzazione e la cultura locale» (Omelia nel Santuario di Zapopan, 30.1.1979). Papa Wojtyla è convinto che tra il cristianesimo e la cultura esista «un nesso organico e costitutivo» e questo legame si applica anche alla cultura popolare in quanto visione della vita e insieme di valori vissuti. Un passo significativo verso la valorizzazione della pietà popolare è compiuto dal Direttorio su pietà popolare e liturgia (DPPL), pubblicato nel 2002 dalla Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti. Esso si apre con una lettera di Giovanni Paolo II, che esorta i vescovi ad assumere «nei confronti della religiosità popolare un atteggiamento positivo e incoraggiante». il beato Giovanni Paolo II in un momento di preghiera. Nel cuore di ogni persona. Ma poiché la cultura implica il rapporto degli esseri umani con il tempo e con lo spazio, anche le espressioni religiose (dai pellegrinaggi alla preghiera ripetitiva o numerica e alle altre pratiche devote) vengono assunte e opportunamente modificate dalla pietà popolare illuminata dalla Rivelazione biblica. La fede allo stato puro non esiste, ma sempre ha a che fare con la religione, i suoi miti e riti, valori e limiti, rapporti spazio-temporali. Altra conseguenza: trattare della devozione mariana o della pietà mariana popolare al di fuori del contesto della cultura popolare, significa porsi in una posizione arretrata, malevola e mortificante, che non comprende come la cultura implichi concezioni antropologiche, le quali comandano le espressioni e conferiscono loro un senso. Abolire le espressioni senza cambiare l’antropologia sottostante appare un’opera pastorale dissennata, perché pretende di risanare un’acqua potenzialmente inquinata senza purificarne la fonte. A questo punto la via da seguire è obbligata: occorre esaminare la pietà mariana nel contesto della cultura popolare per appurare come inserirvi la figura biblica di Maria e quindi tentare una valida mariologia popolare. La valutazione della pietà popolare è passata dall’indifferenza e dal disprezzo al riconoscimento del suo valore umano e cristiano. Si è operata una transizione «dal tradimento-esilio all’accoglienza persistente, allo starci dentro». Si è compreso che la pietà popolare non solo fa parte di una cultura in senso antropologico, che non è lecito a nessuno sopprimere o disprezzare, ma è una forma d’inculturazione del cristianesimo, a pari dignità di altre inculturazioni della fede. Quanto alla sua vitalità, anche se è tramontata la forma culturale in auge nel mondo pastorizio o contadino ottocentesco, la pietà popolare continua a vivere in modo trasversale nel popolo di Dio. Nella cultura popolare, sempre salva la centralità di Cristo, emerge la figura di Maria come persona viva e sentita, con tutta la sua carica di bontà, di santità e di potenza, che si manifesta nella storia individuale e sociale del popolo. È un valore importante, in un tempo di atrofia del senso religioso e di eclissi di Dio, che non si può occultare, ma occorre esplicitare. L’osmosi della pietà popolare mariana con la fede e la liturgia della Chiesa tornerà a vantaggio dell’una e dell’altra, conferendo alla liturgia un carattere più festivo, emozionale e comunitario, mentre alla pietà popolare mariana conferirà un tono più espressamente cristocentrico, trinitario ed ecclesiale. Giuseppe Daminelli, smm |
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